Tua Tagovailoa a Los Angeles 2028

Non sono stato un fan della prima ora di Tua Tagovailoa. Anche se al college ne avevo seguito le evoluzioni. Mi portavo dentro il pregiudizio che mi fa dubitare dei quarterback di Alabama: piloti cui viene affidata una fuoriserie per competere con auto di cilindrata ben inferiore. Difficili da inquadrare, spesso.
Qualche anno dopo ho avuto la fortuna di vederlo giocare dal vivo a Londra. Ne ho apprezzato le qualità più evidenti anche ai profani: la precisione e la velocità di rilascio della palla, soprattutto. Pur continuando a non ritenerlo tra i miei preferiti, ho preso atto che aveva le caratteristiche per poter far bene, o persino molto bene, nel contesto giusto. Non un Mahomes, un Burrow, un Allen, che da soli ti svoltano una franchigia, ma un ragazzo su cui poter costruire, desideroso di dimostrare il suo valore e di vincere.

Mi sono preoccupato moltissimo per quella seconda concussion consecutiva in una settimana. Nel 2022. Quelle botte apparentemente insignificanti che l’avevano mostrato così fragile. In quelle settimane non ero sicuro sarebbe stato in grado di tornare in campo. L’ha fatto invece. E come l’ha fatto. Alla grandissima, gridando a suon di prestazioni, lo scorso anno, di poter giocare a un ottimo livello in un sistema cucito ad arte sulle sue caratteristiche. Gli è valso un meritato rinnovo multimilionario.
Giovedì notte è calato di nuovo il buio. Una terza, terribile, concussion. Quelle conseguenze visibili anche all’occhio di chi non è un medico. Per quel contatto che non dà l’impressione di essere violento, ma si trasforma in un muro contro cui va a sbattere il futuro di Tua.

Ci sono persone più esposte agli acciacchi muscolari, che si stirano più frequentemente di altre, si affaticano più spesso, si riprendono più lentamente. Ci sono atleti le cui articolazioni scricchiolano più di quelle della maggioranza dei colleghi, e ricadono frequentemente in guai simili. O non riescono a rialzarsi proprio. Tua ha una storia con le concussion che non può più essere ignorata. Per il bene del ragazzo. Saranno i medici a consigliargli il da farsi e lui a prendere la decisione finale. Ma questa volta dovrà guardarsi dentro e probabilmente dovrà domandare al suo orgoglio, alla sua passione per lo sport che ama, al suo desiderio di competere e primeggiare di fare un passo indietro. Per il suo bene. Da qui, da lontanissimo, in queste righe dettate dall’emozione, mi sento vicino alle persone che gli sono care e che non possono non pensare che il rischio non valga più la candela.

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Anche i dubbi, a questo punto contano niente. E me ne sono venuti mentre guardavo la partita, sia prima dell’infortunio, che dopo. Prima avevo la netta impressione che non fosse nella sua giornata migliore. Per quei passaggi meno precisi del solito. Per quelle finte sulle handoff talmente realistiche da farlo sembrare confuso. Per quella scelta di buttarsi in avanti a cercare una mezza yard in più quando non ce n’era bisogno. Lui che avrebbe dovuto giocare come l’ultimo Peyton Manning, alla luce delle voci precedenti sulla cartella clinica. Quasi gli fosse mancata lucidità sul momento. “Scivola”, gli ho gridato nel silenzio della mia mente prima che andasse a sbattere contro il petto di Damar Hamlin. Una volta resomi conto dell’infortunio ho iniziato a domandarmi perché non avesse scelto di indossare il guardian cap. Retropensiero sciocco, lo so. Ma è stato naturale. Una protezione in più, una cautela da aggiungere a quel casco di ultimissima generazione. Forse nemmeno quello sarebbe bastato, però. Nessuno può dirlo. E sono speculazioni che valgono niente. Quando prevale la tristezza per una carriera su cui si è fatto nuovamente buio.
Perché la scelta che Tua Tagovailoa farà deve illuminare la vita di domani, anziché il giocatore di oggi. Per quanto possa far male. Al ragazzo. E ai Dolphins.
Miami rischia di vivere una situazione che speravo non si ripetesse più. Una brillante promessa spezzata. Come accadde ai miei Minnesota Vikings con Teddy Bridgewater. Ragazzi capaci di portare la luce su una franchigia, di accendere uno spogliatoio con la loro umanità e di crescere fino a caricarsi la squadra sulle spalle, martoriati dalla sfortuna.

E allora mentre il mio abbraccio virtuale vola sulle sponde della Florida, per aggiungersi ai milioni di altri che non potranno consolarlo ma si augurano di confortarlo, se Tua deciderà di non proseguire oltre, mi piacerebbe gli fosse data – se lo vorrà, questo non dovrei aver bisogno di scriverlo ma meglio essere chiari – la possibilità di rappresentare gli Stati Uniti nel flag football alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. Per un ultimo atto in campo che permetta al ragazzo di far risplendere ancora una volta il suo talento con un ovale tra le mani.

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